Referendum, per il Sindaco è diventata “la madre di tutte le battaglie”

stalingradoA Bologna la campagna referendaria volge al termine.
Dopo l’ultimo durissimo attacco di Merola sul Corriere, che ha definito i sostenitori della scuola pubblica “estremisti conservatori” nemici della “sinistra moderna” val la pena fare una considerazione. La linea del sindaco e del Pd sul referendum pro o contro i finanziamenti alla scuola privata, in pochi mesi è variata molto:
Linea 1“non è una priorità”. Tipica posizione che il Sindaco (e in genere il Pd) assume quando non vuole affrontare un problema (cioè quasi sempre), dunque il problema non esiste.
Linea 2“non è un caso nazionale”. Pd e Sindaco si schierano con il comitato pro private, relegando però la questione all’ordinaria amministrazione e definendo il referendum inutile e costoso.
Linea 3 “non passa lo straniero”. Sindaco e assessori denunciano l’attività di pericolosi intellettuali “marziani”,  agitatori incalliti, che turbano la letizia cittadina venendo a sostenere il comitato per la scuola pubblica e annunciano che anche in caso di vittoria dei referendari non si terrà conto dell’esito del voto.
Linea 4“sconfiggere i nemici del popolo”. Messo alle strette dalla scesa in campo di Bagnasco (CEI) e Lupi (Governo/CL), il Pd e il Sindaco trasformano “l’inesistente questione” a carattere locale nella madre di tutte le battaglie. Non è più un referendum di merito sul finanziamento comunale alle scuole private, ma un referendum pro o contro il Pd: sull’identità stessa di quel partito, e soprattutto diventa un referendum che deve legittimare l’intera amministrazione della città.

E’ evidente che il Pd politicamente non vuole lasciare l’eventuale vittoria del “B” in mano alla Curia. Deve dimostrare di controllare la città e decide quindi di schierare tutta l’artiglieria pesante di cui dispone e di scendere in battaglia coi carri armati, à la guerre comme à la guerre…
La situazione a questo punto vede da una parte una poderosa macchina da guerra. L’alleanza tra Curia, Partito e amministrazione Comunale controllata dal Pd, sostenuti da quasi tutti i media locali e da quasi tutti i sindacati, che mettono i campo tutta l’organizzazione di cui dispongono per vincere la battaglia referendaria: i circoli e le parrocchie, i militanti e i devoti, il funzionariato e il clero. Il tutto supportato da una macchina comunale che lungi dall’essere neutrale viene usata a favore del comitato “B”: i pochi seggi per votare favoriscono la coalizione meglio organizzata, che ha i mezzi per “cammellare” truppe sulla base del senso di appartenenza, di fede o di partito. Gli spazi a disposizione dell’amministrazione che dovrebbero essere usati per fare informazione neutra sulle modalità del referendum vengono ceduti al comitato “B”, a cui viene concessa anche la piazza nella serata antecedente il voto, solitamente negata per il silenzio elettorale.

Dopo la disfatta post elettorale e l’obbrobrio del tradimento del patto con gli elettori attraverso l’alleanza col Pdl, il Sindaco è andato giù pesante e ha parlato addirittura di “riscossa del Pd” che deve ripartire dal referendum del 26 maggio. In queste condizioni, una vittoria dei referendari che sembrava fino ad alcuni mesi fa piuttosto probabile, visto l’atteggiamento di sufficienza del Pd, adesso lo è molto meno.
La linea adesso è chiara:  ristabilire l’ordine a Berlino.
Aver messo in campo la legittimità dell’intera amministrazione costringe però Merola alla vittoria, “senza se e senza ma”, perchè in caso di sconfitta non perderebbe solo una battaglia su un singolo punto, ma sarebbe una sorta di voto di sfiducia per il Sindaco e per il partito che lo sostiene.

Quella di Merola è una forzatura spregiudicata e pericolosa che il suo partito avrebbe dovuto respingere fermamente e che invece ha avvallato. Per vincere ci si gioca il tutto per tutto, ma si dovrebbero a questo punto accettare tutte le conseguenze di questo gesto.
Se perde il Sindaco che fa, si dimette?

Paolo Soglia

2 pensieri su “Referendum, per il Sindaco è diventata “la madre di tutte le battaglie”

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  2. La vita scorreva tranquilla a Bologna, fino all’anno scorso. O meglio, scorreva come quella di qualsiasi altra città, con la giunta comunale impegnata in equilibrismi finanziari per far quadrare il bilancio, sul pendio incerto e scivoloso dei tagli del governo alle amministrazioni locali. E il sindaco Merola ed i suoi assessori affrontavano nel frattempo con grande coraggio il tema abbastanza rivoluzionario della pedonalizzazione del centro storico e della sua vivibilità, iniziando a chiuderne fette importanti ai mezzi a motore, almeno nei giorni festivi e nei weekend. Bologna in fondo é sempre stata una città d’avanguardia per quanto riguarda la qualità della vita. Le idee nuove non sono mai mancate, grazie anche all’apporto inesauribile della sua università, punto d’attrazione per giovani provenienti da ogni parte d’Italia, che qui poi spesso si stabiliscono, o comunque trascorrono una parte importante e particolarmente vivace della loro vita.
    Insomma, Bologna ero uno stagno tranquillo, un piccolo ecosistema sereno e armonico, non c’erano venti che turbavano la sua quiete, la sua superficie liscia.
    Eppure… eppure c’era un sassolino fuori posto, un sassolino che qualcuno é riuscito a notare, un po’ per perfezionismo, un po’ perché forse la stessa calma e tranquillità del luogo glielo hanno consentito. Quel sassolino che dava fastidio era il milioncino di euro che il comune ogni anno eroga alle scuole private dell’infanzia, e che il comitato di cittadini “Articolo 33” ha deciso di mettere in discussione, ispirandosi appunto a quell’articolo della Costituzione che dice che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato”. All’inizio sembrava proprio un sassolino, tanto era insignificante. Tanto per cominciare, la convenzione tra Comune e scuole d’infanzia private é in vigore da 18 anni, e quindi non chiama in causa direttamente l’operato dell’attuale giunta, che ha solo dato seguito a un provvedimento adottato da tutte quelle che l’hanno preceduta. E poi i fondi destinati alle private rappresentano meno dell’1% degli interventi in campo educativo e scolastico su cui investe il Comune di Bologna. Il sindaco non era entusiasta di indire un referendum comunale per una questione di principio che, casomai, avrebbe dovuto risolversi in ambito nazionale. Per di più il referendum é solo consultivo, non vincolante, e il costo di 500 mila euro per la sua organizzazione, in tempi di crisi, poteva sembrare una beffa. Ma le firme erano state raccolte, e alla fine, lo scorso 9 gennaio, le ragioni della democrazia hanno prevalso su quelle del bilancio: il sassolino del referendum é stato lanciato. Il comitato Articolo 33 aveva chiesto inizialmente di accorparlo con le elezioni politiche di febbraio, per cercare di aumentare la partecipazione dei cittadini e provocare nella quiete dello stagno delle onde più forti. Ma alla fine la data scelta é stata quella del 26 maggio, e la traiettoria del sassolino si é così allungata, come se lo stagno si fosse allontanato dal punto in cui la mano del comitato lo ha scagliato, rendendone più debole l’impatto.

    Tuttavia, da febbraio a maggio sono successi eventi inaspettati. La sinistra nazionale si é alleata con la destra, rivelandosi così ben poco sinistra. Non più cambiamento, ma restaurazione. I vertici del PD, che erano usciti vincitori dalle primarie di autunno e che avevano in Bologna una delle loro roccaforti, si sono dimessi in blocco. Il gruppo dirigente locale del PD, salvo rarissime eccezioni, si é adeguato al nuovo corso con l’iniziativa #ResetPD, che ha generato molto malumore nella base degli elettori e in molti semplici militanti. Non solo, ma ormai si vocifera in modo insistente che il PD, ad ottobre, non sceglierà più il prossimo segretario con elezioni primarie aperte a tutti, cosicché la scelta sarà influenzata inevitalmente dai potentati e dalle correnti ai vertici nazionali del partito. Insomma, non solo una svolta politica a destra, ma una chiusura nei confronti dei cittadini che vogliono dare il proprio contributo e che non chiedono altro che di poter partecipare alla vita politica.

    In questa atmosfera politica polverosa, il sassolino ha coagulato attorno a sè, lungo la sua quadrimestrale traiettoria, le delusioni di molti cittadini di sinistra. Tanto più che, se é vero che i primi promotori della convenzione con le scuole private a Bologna, negli anni ’90, avevano basato il loro provvedimento su un’interpretazione lassista e discutibile della Carta, é anche vero che la modifica costituzionale del 2000, che introdusse la piena identità tra scuole private paritarie e scuole pubbliche, venne votata da una maggioranza parlamentare simile a quella che sostiene l’attuale governo. Insomma, l’occasione di partecipazione aperta che il referendum concede ai cittadini, rischia di trasformarsi in un momento di rivalsa dell’elettorato di sinistra verso la linea politica del partito. Quando il referendum é stato indetto, i più preoccupati riguardo al suo esito e al successo di partecipazione erano i membri del comitato. Ora invece sembra che i più preoccupati siano gli amministratori, da cui si sente dire, sui giornali, che “la vittoria é possibile” (sembrano le parole di una allenatore la cui squadra deve rimontare tre gol nella partita di ritorno). Inoltre, se é vero che in seguito al referendum la giunta potrà mantenere legittimamente la sua attuale linea politica (si parla addirittura di estendere la convenzione con le private), è anche vero che il prossimo candidato sindaco difficilmente potrà ignorare il risultato della consultazione, a maggior ragione in una città dove già per due volte consecutive il centrosinistra (poi vincitore) ha fatto le primarie (aperte). A meno che non si voglia abolire anche quelle.

    Insomma, quel referendum che era stato scagliato in aria come un sassolino, rischia di cadere nello stagno come un vero e proprio masso, e non é detto che le onde che si alzeranno non tracimino fuori dal recinto bolognese.

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